C’è qualcuno in qualche comitato e tra i banchi dell’opposizione che, con il solito livore diventato unico tratto distintivo della sua attività nel Consiglio Comunale, si è convinto che un sindaco debba “girare” per le strade per rendersi conto dei problemi della città. Non è una cattiva idea, certo, a patto di non replicare le gesta di chi lo ha fatto in passato, senza curarsi dei problemi che oggi noi stiamo pazientemente risolvendo.
Se qualcuno cercava la nostra discontinuità politica, quindi, potrà trovarla in questo approccio. In un solo anno di amministrazione Melucci abbiamo posto le basi per una ripartenza vera, non per il suo miraggio.
A chi non vede la differenza, a chi non si rende conto di quanto sia stata “alzata l’asticella”, abbiamo solo una cosa da dire: è il profilo delle aspettative personali a definire la capacità di apprezzare i progressi di una comunità. Non ci meraviglia, insomma, se la rivoluzione del sistema amministrativo che stiamo mettendo in atto non colpisca chi è abituato a rincorrere interessi marginali, che rispondono solo al suo pacchetto elettorale.
Abbiamo scompaginato la narrazione della politica, infatti, è con una giunta brillante slegata dall’ortodossia partitica, che si sono posti traguardi ambiziosi. Vale la pena elencarne qualcuno: l’uscita dal dissesto, lo sblocco della produttività per i dipendenti comunali, concorsi per 100 nuove assunzioni, decine di milioni di euro di fondi regionali e comunitari rastrellati in un solo anno (più di quanto fatto in cinque anni dalle precedente amministrazione), risorse triplicate in bilancio per strade, illuminazione, impianti sportivi e verde urbano, atti concreti in tema di urbanistica, dopo 40 anni di silenzio (PUG, PUMS, piano delle coste, aree sdemanializzate), la raccolta differenziata integrale ovunque, l’istituzione dell’oasi marina in Mar Piccolo, l’adeguamento delle società partecipate alla legge Madia, la chiusura dopo tre anni del masterplan per la Città Vecchia, la ripartenza del cantiere di Palazzo degli Uffici, il progetto innovativo di rilancio dell’Isola Amministrativa, il primo lotto della forestazione urbana ai Tamburi, una serie di eventi memorabili di cui non si aveva traccia a Taranto da almeno un ventennio, lo start-up del distretto del commercio e di quello per il turismo, l’inaugurazione del teatro Fusco, il gemellaggio con Pittsburgh, il piano per la Zes Ionica, protocolli di intesa che ristabiliscono rapporti corretti con la grande industria e i commissari governativi, la fibra ottica che parte in tutte le zone più popolose, la messa in sicurezza dei lavoratori ex Isola Verde e Pasquinelli, i bandi per i Baraccamenti Cattolica, la Masseria Solito, Torre D’Ayala, le aree mercatali, l’aggiornamento degli accordi di programma con Università e Politecnico di Bari, il varo della piattaforma informatica per il censimento e la trasparenza del patrimonio comunale, i primi piani sociali di zona in assoluto in Puglia, la riqualificazione della scarpata del lungomare, il campo scuola.
Ai nostri occhi, quanto appena elencato potrebbe essere il consuntivo di un ciclo amministrativo, il resoconto posto agli elettori per cercare la conferma. Invece è il frutto di un solo anno di governo, solo 12 mesi che ci hanno visti impegnati su fronti roventi, cercando di restituire alla città un ruolo.
Già, perché quello che sfugge a chi scaglia contro di noi il suo sguardo miope è la prospettiva. Taranto poteva restare ai margini, come ha fatto per decenni, governando la contingenza e disinteressandosi del posto che occupa nel panorama nazionale. Abbiamo deciso di chiudere quella stagione con una rivoluzione che comporta sacrifici, difficoltà nell’immediato, ma soddisfazioni diffuse nel medio e lungo termine: dovremmo scomodare De Gasperi, per rendere il senso del nostro impegno. Ma la differenza tra politicante e statista, per qualcuno, resterebbe dura da comprendere.
Massimiliano Motolese