Le prospettive e la “minaccia” d’un enorme aumento della della popolazione umana già da qualche tempo stanno mettendo in primo piano una sommatoria di problemi ambientali, questo soprattutto perché la volontà e la possibilità dell’uomo di modificare (ed inquinare) l’ambiente in cui vive e respira si sono sviluppate molto, ma molto più in fretta della sua capacità di comprendere come funziona il nostro ambiente naturale in modo da rendere possibile il costante sviluppo della vita.
Bisogna dire che specie nelle regioni che affacciano sul Mediterraneo la “bioempatia” (la capacità cioè di comprendere le cose anche dal punto di vista della natura al fine di imparare a rispettare i suoi principi) è tenuta in ben poco conto, complice una Scuola, una pedagogia che ha sostituito la curiosità e l’interesse verso il mondo naturale con una cultura prevalentemente di taglio umanistico-letterario.
Il presidente della S.E.I. (Società Entomologica Italiana) prof. Francesco Pennacchio, recentemente scriveva che “da sempre le regioni centro meridionali del nostro Paese sono purtroppo tragicamente prive di musei e strutture di tipo naturalistico ove svolgere, soprattutto a favore dei ragazzi, quella fondamentale attività divulgativa di avvicinamento alla natura (che genera bioempatia, appunto…), e che potrebbe spingerli, una volta adulti, a non ripetere gli errori commessi contro i beni ambientali dalle generazioni che li hanno preceduti”.
La bioempatia c’insegna ad apprezzare il modo in cui tutte le creature viventi, uomo compreso, sono interconnesse, ci fa scoprire tutto il buono, il giusto, il bello dell’innovazione, della resilienza e del ciclo della vita, il che non è poco visto i tempi che corrono!
Con Rosario Sasso e Fabio Mongelli, dice l’entomologo Valentino Valentini, siamo stati in piazza Vittorio-Veneto in Matera, pur “Capitale della Cultura 2019”, per significare a chi passasse di lì il timore che la “Cultura” di che trattasi non comprenda affatto la formazione alla bioempatia, ma riguardi soprattutto quelle discipline di stampo “demoetnoantropologico” che da sempre, e specie nel nostro Paese, sono alla base della pedagogia.
Da qui la domanda: sarebbe dunque solo questa la “conoscenza” che ci serve e di cui abbiamo oggi un disperato bisogno per preservare la vita, nostra e di tutti i viventi, su questo nostro Pianeta-astronave?