Da troppi anni Taranto non è padrona del proprio destino, tenuta in ostaggio dalle multinazionali straniere. Dai taiwanesi agli indiani, ai turchi, non ne è andata bene una. Promesse, piani di rilancio, progetti miracolosi… e poi il nulla. La città è ferma, prigioniera di uno sviluppo che resta solo sulla carta, mentre il tempo passa e la speranza si consuma.
Confartigianato sta provando a denunciare con sempre maggior forza l’immobilismo che soffoca ogni possibilità di ripresa di Taranto. Sul fronte del porto commerciale, siamo fermi ad una concessione di 49 anni data per sviluppare il traffico merci, che però dal primo giorno non ha prodotto alcun risultato concreto rispetto agli sbandierati impegni assunti. Un’infrastruttura, il porto, che dovrebbe essere il cuore pulsante dell’economia jonica è invece bloccata, ostaggio da tanti anni di una gestione inconcludente e di una politica che non trova il coraggio di intervenire. Non è accettabile che un bene strategico per tutto il territorio viene lasciato marcire tra annunci e protocolli d’intesa, paralizzato nell’indifferenza generale. Simile il percorso, sotto gli occhi di tutti nei fatti, che si ripete nell’epico rilancio del siderurgico. Un’odissea, dove tra bandi di gare e cassa integrazione continuano ogni tanto a schizzar fuori ancora velati nostalgici richiami alla pima rivoluzione industriale, eppure gli altiforni a carbone sono ancora tutti li e ci sono quelli che già li rimpiangono.
A Taranto sono di routine roboanti annunci, nuovi proclami, sussulti mediatici… ma poi, come sempre, non succede nulla. Taranto è intrappolata in un eterno limbo di promesse non mantenute, tante chiacchiere e distintivo, mentre le nostre imprese continuano a combattere da sole, senza prospettive e senza certezze.
Sembra di assistere ad una specie di roulette russa, dove la nostra classe dirigente ha storicamente continuato ad evitare il confronto con la realtà. Al posto di chiarezza e concretezza, si rincorrono giri di parole e mezze verità da interpretare, kafkiane, spesso contraddittorie, che si smentiscono da sole. Ma intanto la città resta ferma, ostaggio dell’incertezza e della mancanza di decisioni vere.
Oggi, con un nuovo sindaco e un nuovo commissario dell’Autorità Portuale, vogliamo credere che qualcosa possa finalmente cambiare. Riponiamo in loro fiducia e speranza, ma sappiano che su di loro grava una grande responsabilità: quella del fare. Taranto non può più permettersi l’ennesimo giro di parole, servono risultati concreti e tempi certi. Serve coerenza, serietà e coraggio, una svolta vera che liberi le energie del territorio, valorizzi chi lavora davvero e rompa una volta per tutte questo blocco che soffoca la città. Chi non produce risultati, chi non ha visione, deve farsi da parte. Taranto non può più aspettare.
È arrivato il momento che politica, parlamentari, enti locali, autorità portuale, sindacati e associazioni datoriali si siedano intorno a un tavolo, chiusi in una stanza a Taranto, e ne escano solo quando avranno condiviso un vero programma di sviluppo su cui lavorare, da potare determinati all’attenzione del Governo.
Nel frattempo, con un pizzico di volontà e coraggio, senza se e senza ma, si deve ritornare subito in possesso della disponibilità di quelle infrastrutture strategiche tenute bloccate, mentre (combinazione!) funzionano alla grande quelle concorrenti vicine, per essere messe in condizione di
produrre ricchezza ed occupazione per la nostra comunità, in modo sostenibile. È il minimo che si possa fare per ridare dignità a questo disgraziato territorio.
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