Alla fine della fiera, Taranto ha deciso di non cambiare nulla: dall’esautorare Melucci a riproporre molti ex amministatori è stato un gioco da ragazzi. Impietoso affermarlo, oggettivo ammetterlo. La città capoluogo ha deciso di schierarsi in un certo modo, salvo voi vedersi catapultare decisioni dall’alto che potrebbero cambiare l’esito del ballottaggio.
Che significa? Presto detto. L’esito del voto ha dichiarato che a fronte di un lieve miglioramento del numero dei votanti (elettori 160.884, votanti 90.974, 56,55%, in precedenza 52,21%), c’è stato un 43,45% di cittadini che hanno preferito restare a casa. Ergo: poco meno della metà non s’è riconosciuta nei candidati in campo, e ciò la dice lunga di quanto ancora sia distante la politica dalla gente. O no? Ma anche questa è una decisione, una responsabilità che i non votanti non possono rifiutare: altrimenti, troppo facile delegare piuttosto che partecipare, troppo semplice puntare poi il dito contro. Il voto resta un diritto, ma anche un dovere. Pur con il dovuto rispetto verso la libertà del non-voto.
Il candidato Bitetti s’è aggiudicato il primo round, mentre il competitor Tacente cercherà di aggiudicarsi il secondo. Fin qui tutto normale, con la logica del ballottaggio. Fatto sta che Bitetti, candidato del centrosinistra a guida PD, dovrà fare i conti con un centrodestra ricompattatosi a sostegno di Tacente grazie agli accordi assunti altrove, cioè fuori dai confini di casa nostra. Ce la farà Bitetti che, almeno finora, ufficialmente non gode del sostegno del M5S se non a parole?
Ricapitolando, se Bitetti (37,39%) riuscisse a convincere i pentastellati (la Angolano ha accumulato un ottimo 10,91%, e l’accordo morale c’è), in teoria – e ripetiamo: in teoria – potrebbe farcela a battere Tacente. Quest’ultimo, rappresentante della Lega di Salvini (checchè ne dica lui e i suoi sostenitori) e della stragrande maggioranza dei fedeli dell’ultimo Melucci, in prima battuta ha raggranellato il 26,14%. In teoria – e ripetiamo: in teoria – al ballottaggio Tacente&Co godranno del sostegno ufficiale del centrodestra tutto (il candidato Lazzàro ha messo su il 19,40% dei voti: c’è da chiedersi perchè esporlo così tanto per poi accodarsi a Tacente…), per cui se la giocherà fino in fondo e fino all’ultimo voto. Resta il 5,19% dei voti finiti all’altro candidato sindaco, Di Bello, che ha lasciato liberi i sostenitori in vista del secondo round, pur dichiarandosi non proprio favorevole ai vecchi amministratori (soprattutto i melucciani, a quanto pare).
Dunque, è questo il gioco dei numeri che appassiona le statistiche. Sempre che gli elettori non preferiranno le gite fuori porta, come spesso accade in occasione dei ballottaggi.
Poi, c’è il gioco della politica dietro le quinte. Quella che, alla fine, decide per davvero. Ed è confezionata dai personaggi che non si espongono ma incidono. Dagli squali che s’aggirano nelle stanze che contano. Dagli imprenditori che puntano su questa o quella coalizione perchè più vicina al proprio business. La politica del denaro che conta e che pesa. Quella dei gattopardi e dei saltimbanco di professione. Quella di chi s’accontenta del piatto di lenticchie. Tutti attori e comparse di un gioco spesso squallido, poco interessato alle problematiche cittadini, molto più a scorazzare nella torta da spartire. E nel futuro ormai prossimo in ballo ci sono centinaia e centinaia di milioni di euro per questo territorio sul quale avventarsi.
Ce ne usciamo dalla perversione di una politica che fagocita soldi ed elettori? Chissà. L’unica speranza è che si cambi marcia, mentalità, interessi. Taranto – assieme a tutto il territorio provinciale – non merita ciò che ormai subisce da anni: l’esser trattata quale pedina di scambio per i forti interessi degli altri, specialmente al di fuori dei suoi confini. Ma Taranto merita anche una visione differente di coloro i quali non s’impegnano o non riescono a farlo. Delegare va bene se comunque si partecipa. Altrimenti, è soltanto cinico contestare per evitare d’impegnarsi.
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