L’associazione Genitori Tarantini torna a denunciare il silenzio istituzionale e mediatico intorno alla questione ambientale e sanitaria legata all’ex Ilva, oggi Acciaierie d’Italia. In un comunicato diffuso nei giorni scorsi, il gruppo accusa stampa, governo e sindacati di ignorare i rischi legati alla ripartenza dell’altoforno AFO1 e più in generale alla condizione degli impianti.
“La priorità sembra essere la produzione – si legge nella nota – mentre si continua a trascurare la salute dei cittadini e la sicurezza dei lavoratori”. Secondo l’associazione, la riattivazione di AFO1 a ottobre 2023, voluta dal ministro delle Imprese Adolfo Urso, sarebbe avvenuta senza le necessarie garanzie tecniche, nonostante l’impianto avesse già raggiunto, e superato, il proprio ciclo di vita. Pochi mesi dopo, l’altoforno è stato nuovamente fermato per un guasto.
L’associazione evidenzia come le criticità strutturali fossero note da tempo e sottolinea l’assenza di interventi di manutenzione straordinaria promessi per febbraio 2024. “Gli impianti, come cowper e tubiere, sono ancora coibentati in amianto – denunciano – nonostante il piano ambientale del 2017 ne prevedesse la rimozione”.
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Nel mirino anche la narrazione politica, ritenuta “strumentale e fuorviante”, che attribuisce alla magistratura la responsabilità del blocco delle attività. “Il sequestro dell’area a caldo – ricordano i Genitori Tarantini – è avvenuto in seguito a incidenti mortali e inquinamento documentato. La magistratura ha agito a tutela della salute pubblica, non contro l’economia”.
Il comunicato segnala inoltre il quasi totale silenzio mediatico sul recente procedimento civile in corso a Milano, nato da un’azione inibitoria intentata da cittadini, tra cui anche un minore, per chiedere la sospensione delle attività inquinanti. Il giudice ha respinto la richiesta di rinvio avanzata dai legali di Acciaierie d’Italia e Ilva in amministrazione straordinaria, fissando la prosecuzione del processo.
Critiche infine anche ai sindacati confederali, accusati di minimizzare i rischi e di evitare un confronto pubblico sul tema della sicurezza e del futuro occupazionale: “Anche se gli impianti rimanessero attivi – conclude l’associazione – il calo occupazionale è inevitabile. Ma nessuno ha il coraggio di dirlo”.
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