Alle ore 15 di oggi, Taranto ha chiuso i seggi per le elezioni amministrative registrando un dato di affluenza pari al 56,60%. Un segnale in lieve controtendenza rispetto alla passata tornata elettorale, quando si era fermata al 52,21%. Una crescita di poco più di quattro punti percentuali, che può essere letta come un timido segnale di risveglio civico in una città spesso segnata dall’apatia e dalla sfiducia nei confronti della politica. Ma basta questo per parlare di partecipazione? La risposta è, purtroppo, negativa.
Nonostante il miglioramento, resta un dato difficile da ignorare: quasi un tarantino su due ha scelto di non votare. In un momento cruciale per la città, dove le sfide ambientali, economiche e sociali si fanno sempre più urgenti, la metà della popolazione ha deciso di non esercitare il proprio diritto – e dovere – democratico. Un segnale che dovrebbe far riflettere non solo gli eletti, ma l’intero sistema politico e istituzionale.
La sfida per la poltrona di sindaco è stata animata da una rosa di candidati di profilo molto differente. Tra questi, Piero Bitetti (che exit pool vedono in testa con percentuali tra il 37% e il 41%), sostenuto da una coalizione civica di centrosinistra con l’appoggio del Partito Democratico; Luca Làzzaro, coalizione di centro destra, sostenuto da Fratelli d’Italia, Forza Italia, Partito Liberale Italiano e una lista civica; Francesco Tacente, di ispirazione civica e moderata sostenuto dalla Lega; Annagrazia Angolano, candidata del Movimento Cinque Stelle; Mirko Di Bello di area civica e Mario Cito.
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Ognuno ha portato avanti una propria visione per Taranto: chi ha puntato su un’industria più sostenibile, chi sulla riconversione green, chi sulla sicurezza e sull’efficienza amministrativa. Ma la vera domanda che emerge oggi è se queste proposte siano riuscite a raggiungere davvero il cuore della cittadinanza. La risposta, ancora una volta, sembra parziale.
Il voto a Taranto assume un significato simbolico più ampio. È lo specchio di una città che continua a vivere una frattura profonda tra istituzioni e comunità. Una città che chiede cambiamento, ma che fatica a riconoscere negli attori politici gli strumenti per ottenerlo. L’affluenza in crescita è certamente un dato da registrare positivamente, ma non basta a parlare di svolta. Serve ricostruire un tessuto di fiducia, di coinvolgimento reale, di partecipazione consapevole.
Il nuovo sindaco, chiunque sarà, dovrà fare i conti con questo vuoto. Governare Taranto significherà anche e soprattutto ricucire un rapporto lacerato con la città. Una città che ha bisogno di essere ascoltata, coinvolta, mobilitata. Perché la democrazia, per vivere davvero, non può accontentarsi del 56%.
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